Stop alle gincane nelle piattaforme online: chi apre un account non deve essere costretto a vagare tra varie schermate per saper se i dati inseriti per aprire il profilo saranno usati per fini di marketing, ma deve poterlo capire subito. Chi sparpaglia le notizie in un labirinto di link commette una pratica commerciale ingannevole.
È quanto ha stabilito il Consiglio di Stato (sezione VI, sentenza n. 9614 del 2/12/2024), la cui novità sta proprio nell’inquadrare la trasparenza sul trattamento dei dati nell’ambito della correttezza commerciale.
La sentenza parte proprio dal presupposto che i dati hanno un valore economico e che, di conseguenza, si applicano anche le regole del codice del consumo (D.Lgs n. 206/2005) per punire slealtà e illeciti nel trattamento. Le tutele del codice del consumo, quindi, nel caso dei dati dei consumatori, si aggiungono a quelle previste dal GDPR (regolamento Ue sulla privacy n. 2016/679).
I due comparti viaggiano coordinati, ma rimangono separati, come dimostra la sentenza in esame su un altro tema importante e cioè la preimpostazione del consenso dell’utente a ricevere comunicazioni di marketing (salvo successiva opposizione): per Palazzo Spada non si tratta di una condotta commerciale aggressiva; peraltro, se ci si sposta sul fronte “privacy” (profilo non esaminato dalla pronuncia, perché estraneo allo specifico contenzioso) il consenso “di default” è una violazione del GDPR.
Le plurime sfaccettature di informative e consensi sono state scandagliate in una vicenda che ha coinvolto Apple e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
L’AGCM ha sanzionato Apple per 2 violazioni (5 milioni di euro ciascuna): mancanza di trasparenza sull’uso a fini commerciali dei dati raccolti al momento della creazione dell’account Apple; preimpostazione del consenso alla raccolta dei dati a fini commerciali e imposizione di una complessa procedura per la revoca dell’assenso. Apple ha impugnato le sanzioni, che sono state entrambe annullate dal Tar Lazio.
L’AGCM ha presentato appello al Consiglio di Stato, che ha salvato solo la prima sanzione. Per arrivare a questo esito, la pronuncia afferma che è di natura commerciale la decisione di fornire i propri dati personali (proprio perché hanno un valore economico) quando si apre un account su una piattaforma digitale (art. 18, comma 1, lett. m), codice del consumo), anche se l’apertura non sia effettuata nel contesto di atti di acquisto.
Simmetricamente, la sentenza afferma che è una pratica commerciale la procedura allestita da una piattaforma, che consente agli utenti di creare account, anche se il servizio fornito all’utente è gratuito (art. 18, comma 1, lett. d), codice del consumo).
Ma se queste ipotesi sono comprese in un quadro commerciale, allora, va considerata quale pratica commerciale ingannevole la mancanza di chiarezza e trasparenza sull’utilizzo dei dati (art. 22 del codice del consumo). E, in effetti, il Consiglio di Stato ha salvato la sanzione irrogata dall’Antitrust a Apple, rea di non avere specificato, fin dall’inizio della procedura di creazione dell’account, del possibile utilizzo dei dati per l’invio di messaggi promozionali “personalizzati”: non basta, chiarisce la sentenza, un’ informativa “multilivello” con un giro tortuoso di link per poter sapere come stanno le cose.
Al contrario, è stato salvato dalla censura di aggressività commerciale (art. 25 del codice del consumo), il consenso a ricevere proposte commerciali quale impostazione predefinita: la pronuncia non lo ritiene oppressivo e neppure manipolatorio della volontà, anche quando per la revoca del consenso l’utente è costretto a seguire un iter complesso. Tutto ciò, beninteso, ai sensi degli artt. 25 e 26 del codice del consumo. Al riguardo, infatti, si deve sottolineare un profilo ulteriore rispetto ai temi trattati dalla pronuncia e cioè che il consenso di default costituisce una grave violazione dell’art. 7 del GDPR, punita con una pesante sanzione pecuniaria.
Fonte:
https://www.italiaoggi.it/diritto-e-fisco/diritto-e-impresa/internet-lutente-deve-capire-se-i-suoi-dati-sono-usati-per-il-marketing-tpqturj5?utm_term=Autofeed&utm_medium=io&utm_source=Facebook&fbclid=IwY2xjawHI8oVleHRuA2FlbQIxMQABHclLmjxQ9fHqSE2P8Jf8P6Jy9k4urtgsf0dWAgpO7R6ZeM6ce3bpCJKQxg_aem_3uH-MNBS0xY2QrJG-ODZbA#google_vignette
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