LA VACCINAZIONE PUÒ ESSERE CONSIDERATA UNA MISURA OBBLIGATORIA IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO?

Dopo pochi mesi la ricerca è riuscita a fornire una speranza immettendo sul mercato un vaccino “funzionale” (forse) che potrebbe farci uscire da questa situazione di emergenza e già da qualche settimana è iniziata la campagna di vaccinazione che ha visto come primi protagonisti il personale sanitario che, tra tutti i lavoratori, è quello sicuramente più a rischio di eventuali contagi.

Ora da un punto di vista della Salute e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, siccome ancor oggi il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 definisce l’infezione da Covid-19 come un vero e proprio infortunio sul luogo di lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di “applicare all’interno della propria azienda tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la salute dei propri lavoratori (art. 2087 c.c.)”.

Quindi una domanda risulta spontanea, ovvero, può il datore di lavoro pretendere ed obbligare i lavoratori a sottoporsi a vaccinazione, così da garantire la mancata diffusione del virus Covid-19 all’interno della propria azienda?

Per rispondere abbiamo dovuto scomodare “le tesi” bensì dell’ex procuratore Raffaele Guariniello e Pietro Ichino affermato giuslavorista.

La tesi di Guariniello si basa essenzialmente sull’art. 279 comma 2 lettera a) del D.Lgs 81/08 e s.m.i. che dice che: “il datore di lavoro può adottare misure protettive particolari, tra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci da somministrare a cura del medico competente”. Secondo l’ex procuratore quindi sarebbe plausibile per il datore di lavoro allontanare e destinare, ove possibile, ad altra mansione il lavoratore che si rifiuta di sottoporsi a vaccinazione e che, quindi, viene considerato inidoneo temporaneamente sino a piano di vaccinazione effettuato. La tesi di Pietro Ichino, invece, prende come riferimento l’art. 2087 del Codice Civile che cita: “nel caso in cui l’opposizione alla vaccinazione metta a rischio la salute di altre persone, tale rifiuto può costituire un impedimento alla prosecuzione del rapporto di lavoro”.

Ma entrambe le tesi, purtroppo, sembrano non tener conto di un semplice articolo della Costituzione italiana, nello specifico l’art. 32, secondo il quale “[...] Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge [...]”, quindi non essendoci in vigore alcuna legge che renda il vaccino obbligatorio, un licenziamento per rifiuto di un trattamento sanitario potrebbe risultare anticostituzionale.

Una riflessione sul tema, viene proposta anche dal Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro con la pubblicazione: “Solo il vaccino obbligatorio impedirà il contagio in azienda”. Secondo lo stesso, per garantire la sicurezza all’interno degli ambienti di lavoro, il datore di lavoro dovrebbe poter pretendere la vaccinazione di ciascun lavoratore.

Purtroppo, il D.Lgs 81/08 e s.m.i. non approfondisce la tematica della vaccinazione, se non dicendo che ogni lavoratore deve essere informato sui rischi e sui vantaggi della stessa.

L’introduzione dell’art. 286 sexies sembra introdurre l’obbligo di vaccinazione a carico del datore di lavoro almeno quando vi siano rischi specifici inerenti alla mansione, come nel caso del settore sanitario.

Tornando alla triste realtà pandemica di oggi, non essendo entrata in vigore alcuna legge specifica, il datore di lavoro non può né pretendere e né minimamente pensare di introdurre la vaccinazione come misura di prevenzione obbligatoria, pena il licenziamento e, quindi, per tutelare la salute dei lavoratori (e liberarsi dalla responsabilità penale in caso di infortunio) il datore di lavoro dovrà, per forza, redigere un proprio protocollo anti–contagio specifico per la propria azienda, seguendo le istruzioni del “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscritto il 24/04/2020.