CHE COSA CI INSEGNA LA PANDEMIA: LE CRITICITÀ IN MATERIA DI SICUREZZA

Scopo del presente articolo è di soffermarsi sul III Rapporto sulla Salute e sulla Sicurezza nei luoghi di lavoro elaborato dall’Associazione ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), con il fine di comprendere quali siano le vere criticità legate agli ambienti di lavoro e quanto le stesse siano cambiate o potrebbero farlo nel corso dell’emergenza sanitaria legata al virus Covid-19.

Tra i primi temi che occorre affrontare vi è quello legato alle lacune normative in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. Il periodo 2019-2020 è caratterizzato da diverse urgenze legislative che le istituzioni hanno voluto risolvere attraverso il rafforzamento delle misure di tutela e con il dialogo sociale. Gli stessi hanno portato al Piano straordinario di prevenzione e sicurezza elaborato dal Ministero della Salute, in collaborazione con l’INAIL, l’INL e le parti sociali. Nonostante questa premessa, è importante sottolineare che l’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha profondamente modificato l’assetto politico e organizzativo del nostro Paese e, nel piccolo, anche delle realtà aziendali. Proprio per questo, il legislatore ha dovuto ricorrere a delle risposte normative estremamente rapide che hanno portato a delle modifiche sostanziali della concezione di prevenzione negli ambienti di lavoro.

In particolare si è deciso di procedere con l’adozione di disposizioni speciali, linee guida, FAQ e circolari da parte dei Ministeri. Anche se la produzione normativa di questo ultimo periodo è stata repentina e stratificata, si ritiene che nella legislazione corrente vi siano numerose lacune legate soprattutto agli eventi infortunistici: tra le necessità incombenti, vi è quella di semplificare gli adempimenti burocratici, migliorare le prestazioni riconosciute a seguito di infortunio o malattia professionale e l’attuazione di varie disposizioni legate al D.Lgs 81/08 che, dopo 12 anni dall’emanazione del testo unico, non hanno trovato attuazione.

Tra i temi che affronta il Rapporto, vi è anche quello legato alla concezione europea di salute e di sicurezza negli ambienti di lavoro. La normativa sociale europea sta vivendo negli ultimi periodi un vero e proprio rinnovamento legato all’aggiornamento della legislazione che stabilisce delle tutele minime per il lavoratore, facendo riferimento anche ai recenti cambiamenti del mondo del lavoro. Nello stesso Rapporto si fa accenno a varie direttive europee che trattano temi quali: il distacco dei lavoratori, le condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, la maggiore conciliazione di vita e lavoro, fino ad arrivare alla direttiva (UE) 2019/1023 che ancora deve essere recepita dalla nostra nazione che riguarda l’informazione e la formazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze; risulta essere fondamentale il suo recepimento per rafforzare la partecipazione dei lavoratori alla riorganizzazione dell’assetto dell’azienda, soprattutto a seguito della crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria.

Nel capitolo VII del Rapporto in questione viene poi affrontato il tema legato alle modificazioni riportate dal legislatore al Codice degli Appalti pubblici. Le stesse, però, non hanno avuto un grande rilievo per quanto concerne la salute e la sicurezza dei lavoratori, tema non adeguatamente affrontato dallo stesso codice.

Un altro risvolto importante da considerare è la qualificazione delle stazioni appaltanti, aspetto che è ancora privo di una disciplina unitaria. In effetti, il sistema di qualificazione delle imprese, se attuato in maniera sostanziale e non formale, permetterebbe di verificare continuamente l’idoneità tecnico – professionale, tenendo conto anche di adempimenti formativi e dell’assenza di sanzioni da parte dell’organismo di vigilanza.

Per quanto riguarda l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, la sezione VI del 3° rapporto sottolinea come la scelta prevalente delle nazioni è stata quella di non adottare delle disposizioni normative di carattere hard, ma un approccio di tipo soft, attraverso la pubblicazione di linee guida, FAQ e raccomandazioni che propongono le stesse misure igienico – sanitarie utilizzate dalla popolazione in generale. Molti Stati hanno “raccomandato” l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale solo negli ambienti ad alto rischio, in tutti gli altri ambienti di lavoro il loro utilizzo è raccomandato nel caso in cui le altre metodiche di contenimento non risultassero sufficienti. Un’importante differenziazione riguarda invece la valutazione dei rischi: in alcuni paesi come la Germania, il datore di lavoro deve effettuare la valutazione dei rischi e adottare apposite misure di prevenzione e protezione in base ai risultati della stessa, in altri, come gli Stati Uniti, la valutazione del rischio si basa sulla classificazione dell’esposizione al rischio contagio.

Infine bisogna considerare che la normativa emergenziale ha cercato in questi ultimi mesi di bilanciare diversi valori costituzionali quali il diritto alla salute, la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di iniziativa economica privata, ecc. ma occorre sottolineare che questo bilanciamento non è cosa facile tanto più che in Italia non è presente un provvedimento precisamente diretto alla gestione delle emergenze sanitarie. La pandemia ha poi gravato sull’organizzazione aziendale: molti datori di lavoro hanno deciso di far ricorso al lavoro agile, considerato dallo stesso legislatore come lavoro subordinato, e alla cassa integrazione.

In conclusione cosa ci ha insegnato (e ancora continuerà ad insegnare) la pandemia in merito alle tutele della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro?

L’emergenza sanitaria ha portato a numerose riflessioni in merito alle condizioni di salute e di sicurezza negli ambienti di lavoro, alla valorizzazione di alcune figure e anche alle nuove modalità di organizzazione del lavoro. In questo ambito la sorveglianza sanitaria, attraverso la nomina di un medico competente, risulta essere fondamentale per individuare precocemente i “lavoratori fragili”. Oggi la possibilità di apporre certi confini alla responsabilità del datore di lavoro, soprattutto in presenza di rischi atipici, diventa sempre più cogente: l’art. 29 – bis del Decreto Liquidità afferma infatti che ai fini dell’adempimento all’art. 2087 del codice civile, è sufficiente l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro. Ciò costituisce una sorta di “scudo penale” e un primo tentativo di mitigazione della responsabilità personale del datore di lavoro.