CHI DEVE PAGARE IL CONTO DEL CORONAVIRUS?

L’accordo dell’Eurogruppo nella tarda serata di giovedì 9 aprile, ha rappresentato una questione centrale dibattuta ampiamente e prolungatasi per giorni anche se la partita non è ancora conclusa. Il secondo round è previsto per il 23 aprile prossimo.

In un editoriale di Stefano Cuzzilla, Presidente di Federmanager “ritorno alla nuova normalità”, viene introdotta una considerazione che riporto integralmente:

Mario Draghi sulle pagine del Financial Times ha invocato un cambio di mentalità, come accade in tempi di guerra. Ha fatto bene a sottolineare che non sarà sufficiente un’azione di mera politica monetaria, ma serve un disegno più ampio. La reticenza dell’Unione europea, meglio, di alcuni suoi stati membri, non è ricevibile. Il dibattito si è arenato su un punto chiarissimo: sulla questione legata ai coronabond; a nessuno conviene addossarsi il debito del vicino di casa.

A fronte della richiesta di condivisione del debito finalizzato a reperire liquidità per affrontare le emergenze sanitarie ed economiche c’è una netta chiusura di alcuni partner Ue.

 

Emerge in merito lo slogan che come un sol uomo viene da quasi tutta la nostra classe politica “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani” senza peraltro specificare in quali tasche vorrebbero metterle. Perché al netto delle operazioni finanziarie programmate –indebitamento delle imprese variamente garantito dallo Stato – è chiaro che il conto del -12% di PIL del 2020, qualcuno dovrà pagarlo.

 

Ma quanto c’è realmente nelle tasche degli italiani? Mentre siamo costantemente aggiornati sui dati del debito pubblico e del rapporto sul PIL.

Apparentemente meno sulla ricchezza privata degli italiani, per la quale ci viene in aiuto una pubblicazione della Banca d’Italia del 9 maggio 2019 “la ricchezza delle famiglie e delle società non finanziarie italiane 2005/2017”.

 

Da cui traiamo i dati seguenti:

Questa tabella ci dice che nel 2017 laricchezza privata degli italiani è pari 10.669 miliardi di euro, di cui 6.295 miliardi in attività non finanziaria(in massima parte valore degli immobili) e 4.374 miliardi in attività finanziarie. Detratti -926 miliardi di passività, laricchezza netta si attesta a 9.743 miliardi. Sempre nel 2017 l’incidenza della ricchezzanetta è del 561,0% sul PIL e del 418,4% sul debito pubblico.

 

La rappresentazione grafica dei dati tabellari è la seguente:

 

Ancor più importante il raffronto congli altri paesi OCSE:

La ricchezza privata italiana è costantemente e di gran lunga al vertice dei paesi OCSE, superando dal 2005 al 2017 paesi quali: Germania, Francia e Regno Unito.

È’ necessario esaminare questi dati facendo esercizio di onestà intellettuale:

1. L’Italia è una nazione ricca, di una ricchezza privata che è costantemente superiore a quella degli altri paesi OCSE. Bene fa il nostro Presidente del Consiglio a chiedere legittimamente di condividere con la Ue gli oneri per affrontare l’emergenza senza se e senza ma. Trasmette però l’immagine degli italiani con il “cappello in mano” che chiedono denari degli altri senza voler intaccare la propria ricchezza.

2. E’ comprensibile – ma assolutamente non giustificabile – che il contribuente tedesco, olandese, austriaco abbia delle ritrosie a condividere il rischio del debito dei coronabond. Alla luce di questi dati, se gli italiani non si fidano dell’Italia e non sottoscrivono l’incremento del debito pubblico, perché dovrebbero farlo loro?

3. Interessante il piano b ipotizzato dal prof. Giulio Tremonti, a fronte di un purtroppo prevedibile stallo delle trattative con la Ue. Prevede l’emissione di bond trentennali, indirizzati al solo mercato nazionale, resi convenienti dalla completa esenzione fiscale e da un rendimento appetibile. Se si mobilizzasse verso questi il 10% della ricchezza finanziaria (4.400 miliardi a gennaio 2020) si avrebbero a disposizione 440 miliardi di soldi veri da destinare alle imprese e alle famiglie.