COLAO SÌ O COLAO NO? LA STRATEGIA PER IL RILANCIO ITALIANO CHE DIVIDE

Un'Italia più forte, resiliente ed equa, imprese e lavoro come motore dell'economia, infrastrutture e ambiente come volano del rilancio, turismo, arte e cultura come brand del Paese, una pubblica amministrazione alleata dei cittadini e imprese, istruzione, ricerca e competenze fattori chiave per lo sviluppo, individui e famiglie in una società più inclusiva e equa.

Non è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Assemblea generale delle Nazioni Unite, Parigi 10 dicembre 1948), ma quanto si può evincere dalle enunciazioni del rapporto finale che Il Comitato di esperti ha consegnato alla Presidenza del Consiglio, evidenziando sei ambiti fondamentali per il rilancio del Paese, ponendoli negli ambiti di digitalizzazione e innovazione, rivoluzione verde, parità di genere e inclusione.

Come di abitudine l’effetto annuncio ha fatto prevalere le reazioni della politica e del mondo economico, al merito delle proposte che, invece, meritano di essere valutate attentamente, perlomeno all’attuale stato dell’arte della “conoscenza” che se ne ha.

Dal mio punto di vista l’effetto “sasso nello stagno” ha generato onde concentriche deboli che son subito venute meno. Eppure la “task force” guidata da Vittorio Colao doveva essere il più compiuto tentativo di disegnare prospettiva e strumenti per un rilancio economico del Paese. E’ stata certamente eclissata dalla successiva convocazione degli “Stati generali”, ciò non di meno domandarsi il perché dell’accoglienza alquanto tiepida che ha avuto dal mondo politico ed economico nazionale, è una legittima curiosità.

Trascurando le enunciazioni di principio sulla green economy e sulla parità di genere, sull’innovazione e sulla formazione, due sono le proposte più impattanti (una di carattere fiscale e l’altra sulla normativa degli appalti) che diano un segno di discontinuità rispetto allo stato precedente alla pandemia. Nel capitolo “imprese e lavoro” ci sono due proposte di sanatoria.

La più rilevante è la “Voluntary Disclosure” che riguarderebbe l'emersione e la regolarizzazione del contante derivante da redditi non dichiarati con il pagamento di un'imposta sostitutiva (10-15%) e l'obbligo di investimento di una parte dell'ammontare (40-60%) per 5 anni in strumenti di supporto del Paese.

La seconda è per l'emersione del lavoro nero che, sulla scorta del Decreto Rilancio, preveda l'emersione del lavoro irregolare in alcuni settori ma anche un mix di premialità (riduzione della contribuzione), paletti (dichiarazione di assenza di lavoro nero) e sanzioni (in caso di dichiarazioni del falso).

“Voluntary Disclosure” è un anglicismo che tradotto in corretto italiano si legge condono fiscale. Condono fiscale che per essere efficace e praticabile deve essere “tombale”, che sani quindi qualsivoglia irregolarità commessa nel sottrarre gli importi da emergere a tassazione.

Condono che per “equità” non può essere finalizzato alla sola emersione del contante ma esteso ai “tesoretti” sottratti a tassazione (comunque e ovunque) detenuti.

Vedere un segno di discontinuità in un condono, appare alquanto temerario in un Paese che dei condoni, scudi fiscali, rottamazioni e sanatorie di ogni ordine e genere ha fatto strumenti del governo della cosa pubblica. Il richiamo all’obbligo di investimento di una parte dell'ammontare sanato (40-60%) per 5 anni in strumenti di supporto del Paese è troppo generico per cambiare la sostanza delle cose.

Ma c’è un elemento – certamente non gradito all’attuale governance e, per motivi contrari anche alle opposizioni – che potrebbe introdurre una discontinuità con il passato. L’eventuale successo della “Voluntary Disclosure”, che convinca gli italiani possessori di un tesoretto sottratto al fisco a farlo emergere a fronte di un’imposta sostitutiva del 15%, sarebbe la dimostrazione plastica che una flat tax al 15% avrebbe una straordinaria efficacia a combattere l’evasione fiscale, con “buona pace” della progressività impositiva. Di contro un insuccesso, “farebbe mettere una pietra sopra” a ogni pretesa di flat tax, togliendo ai sostenitori del taglio delle tasse uno straordinario strumento di polemica politica.

Mai però come questa volta, l’esigenza di reperire risorse fa premio su qualsiasi pretesa di equità fiscale.

Meno impattante e tutto sommato meno praticabile è l'emersione del lavoro nero. Se il costo del bracciante deve essere di 3 euro l’ora – per restare competitivi sul mercato globalizzato, ma anche per trovare presso la GDO la passata di pomodoro a prezzi ridicoli – non c’è normativa per l’emersione che sia praticabile e che funzioni.

L’altra proposta qualificante del piano è di semplificare l'applicazione del codice degli appalti ai progetti di natura infrastrutturale applicando alle infrastrutture di interesse strategico le Direttive europee e, parallelamente, rivedere la normativa in un nuovo codice, basato sui principi, appunto, delle Direttive europee.

Qui la realtà fattuale deve superare i principi, se l’opposizione del sindaco di un paesino o l’intervento (motivato o meno) di un magistrato può bloccare opere di interesse nazionale come la TAV o la TAP, c’è qualcosa che va corretto. Le grandi opere ma anche gli interventi di manutenzione straordinaria, una volta correttamente approvati, vanno portati a termine. Né vale il pericolo di infiltrazioni mafiose e di corruzione; si combatta mafia e corruzione con la galera, ma non si ingessi il Paese.

Il richiamo a un nuovo codice degli appalti - che superi l’emergenzialità del metodo Genova – ma che venga ridisegnato a regime sulla normativa europea, sarebbe un’apertura al mercato e alla concorrenza rivoluzionaria per il nostro Paese.

Troppo per una politica antieuropeista che dello scarico di responsabilità sull’Europa ha fatto una bandiera!

Troppo per una politica che desidera continuare a gestire l’intervento sugli appalti delle cooperative legate alla politica stessa!

Troppo per gli imprenditori che nel business continuano ad aver voglia di mercati protetti e di cartelli.

Che un liberista come Vittorio Colao non si sia reso conto del vulnus che le sue proposte rappresentavano per il potere consolidato, è poco credibile. Più credibile che non abbia voluto barattare la propria onestà intellettuale con il successo di una task force.