DIVIETO DI USCIRE DI CASA E DIFFAMAZIONE MEDIATICA: IL CITTADINO “CONTOLLORE” RISCHIA IL PENALE

La giustizia fai da te non è ammessa, neanche in tempo di quarantena obbligata e neanche se a “fin di bene”. E chi in nome di un bene superiore, la salute e il rispetto delle regole, pubblica le foto di chi è in strada sui social, nel suo profilo privato o su pagine dedicate, nate con l’intento di segnalare e punire l’avventore delle città chiuse, rischia sanzioni sia di tipo amministrativo che penale.

L’utilizzo di social network e gruppi di messaggistica, regolato da leggi specifiche, non è libero e discrezionale in base al periodo e alla finalità. Fotografie e video in chiaro in cui il soggetto è identificabile (attenzione IDENTIFICABILE implica che sia riconoscibile attraverso informazioni deducibili anche se non espresse), targhe di veicoli e abitazioni private, sono dati personali che non possono in nessun caso essere resi pubblici (già con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 2000 all’Art. 7 Rispetto della vita privata e della vita familiare, si dichiarava che “Ogni persona ha il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni (riservatezza))”.

Non siamo tutti giornalisti con dovere di cronaca (e in ogni caso i giornalisti hanno l’obbligo di rispettare regole stringenti dettate dal Codice Deontologico e da norme specifiche di settore e in materia di trattamento dei dati personali) e non siamo tutti autorità competenti, polizia o carabinieri che hanno l’obbligo di controllare. Nel nostro essere ligi e attenti alle disposizioni, quindi, rientra anche il rispetto dell’altrui riservatezza e reputazione che in fin dei conti è alla base di una convivenza civile anche in caso di distanziamento sociale.

Ricordiamoci quindi, ora più che mai, che siamo sempre alla finestra e davanti ai social, che non possiamo trattare dati personali di terze persone e non possiamo pubblicare foto e video dove sono raffigurate persone diverse da noi stesse SENZA IL LORO ESPRESSO CONSENSO (i minori non dovrebbero MAI essere pubblicati). Non possiamo soprattutto ridicolizzare, richiamare, insultare, ammonire persone in pubblica piazza attraverso i social, è DIFFAMAZIONE.

Il reato di diffamazione si può configurare anche se si condividono i contenuti su gruppi WhatsApp o via mail comunicando con più persone. Per cui ATTENZIONE e BUON SENSO perché i diretti interessati possono, in caso di diffamazione, sporgere querela. La querela può essere sporta sia nei confronti di chi ha pubblicato la fotografia, sia di chi commenta in modo offensivo o in maniera tale da provocare un danno, anche reputazionale, di chi condivide, di chi mette un “like” e chi gestisce il gruppo social o Whatsapp o Telegram. Chiunque provochi un danno, o eviti che il danno venga provocato, nel caso sia messo conoscenza del fatto e non si attiva, potrebbe rischiare di pagarne care le conseguenze (anche economicamente parlando). Non ultimo è possibile presentare un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali.

Quindi rispettiamo le leggi, ma rispettiamole tutte, anche quelle della privacy (cit. trattamento dei dati personali).