DOPO I 21 GIORNI FINISCE L’ISOLAMENTO, E QUINDI? COSA FARE?

Con la Circolare del Ministero della Salute n. 32850 del 12.10.20, entriamo per la prima volta a contatto con una nuova espressione: “casi positivi a lungo termine”; la stessa infatti aggiorna la concezione di isolamento e quarantena in relazione all’evoluzione del quadro epidemiologico, delle indicazioni provenienti dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dell’ECDC (Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie) e di concordo con il parere del Comitato Tecnico Scientifico.

In base alla Circolare, tutti coloro, che trascorsi 21 giorni e che risultano ancora positivi, potranno terminare l’isolamento e tornare alla “normalità” anche senza previa negativizzazione del test molecolare: ma è realmente così? Possiamo veramente tornare alla nostra vita in comunità, facendo la spesa, andando dal dottore e al lavoro essendo stati dichiarati “negativi d’ufficio”?

In questo articolo cercheremo di capire cosa indica realmente la normativa vigente in materia di isolamento e quarantena, quali sono le motivazioni dietro la stessa e quali sono i limiti che impone, soprattutto nell’ambiente lavorativo.

Per prima cosa dobbiamo riuscire a comprendere l’ampio contesto normativo in cui la sopracitata Circolare si inserisce, andando a studiare i vari punti della stessa.

Circolare del Ministero della Salute n. 32850 del 12.12.20

Il primo punto affrontato dal documento è la differenza tra isolamento e quarantena che ci teniamo a ricordare brevemente:

Isolamento: casi di accertata e documentata infezione da Sars-CoV 2 che comporta la separazione delle persone infette dal resto della comunità in un ambiente e condizioni tali da prevenire l’infezione.

Quarantena: restrizione di movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione in quanto sono state presumibilmente esposte ad un agente infettivo con il fine di monitorare un’eventuale comparsa di sintomi.

In secondo luogo, la Circolare indica la durata e il termine dell’isolamento e della quarantena e, proprio in questa seconda parte, si trova il termine specifico dei 21 giorni:

Casi positivi asintomatici: in questo caso si può rientrare in comunità a seguito di un isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività e con test molecolare negativo.

Casi positivi sintomatici: si può rientrare in comunità a seguito di un isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi accompagnato da test molecolare negativo eseguito dopo che siano trascorsi almeno 3 giorni “senza sintomi".

Contatti stretti asintomatici: questi possono interrompere la quarantena dopo 14 giorni o dopo 10 giorni, avendo effettuato un test molecolare che sia risultato negativo.

Casi positivi a lungo termine: in caso di assenza di sintomatologia da almeno una settimana, si può interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi.

Dopo questo breve riepilogo della circolare, sono tre le domande che risultano spontanee:

Perché dopo 21 giorni una persona può essere dichiarata “guarita d’ufficio”?

A questa conclusione, gli esperti sono arrivati dopo aver evidenziato che la carica virale risulta essere estremamente alta nei giorni subito prima e subito dopo la comparsa dei sintomi (e per gli asintomatici) e che la stessa tende a diminuire, gradualmente con il passare del tempo, arrivando ad essere quasi non più rilevabile al giorno 21 (benché il tampone molecolare rino-faringeo capti ancora la presenza del virus quindi potenzialmente presente nel famoso droplet salivare).

Ovviamente, sempre gli esperti, pur ammettendo di non conoscere con esattezza il periodo di contagiosità di un soggetto Covid-19 positivo, dichiarano che il rischio di trasmissione dell’infezione dopo i 21 giorni è relativamente (forse) basso ma che comunque non sarà mai uguale a 0 e quindi occorre prendere tutte le dovute e necessarie precauzioni.

Chi attesta l’assenza di sintomatologia da almeno una settimana e che siano trascorsi i sufficienti 21 giorni dalla comparsa dei sintomi?

Per ciò che concerne la provincia di Pesaro-Urbino, l’ASUR Area Vasta 1, mette a disposizione un modulo (vedi in calce) definibile certificazione che a seguito di autodichiarazione del soggetto interessato/paziente, dopo aver inserito i propri dati, data e luogo di inizio isolamento e dopo aver dichiarato di non avere sintomi da più di una settimana e di non essere affetto da particolari condizioni cliniche e patologiche che determinano immunodeficienza, ne sottoscrive la veridicità.

Dopo aver firmato, il soggetto è autorizzato ad interrompe l’isolamento, e quindi?

Cosa si intende per “interruzione dell’isolamento”?

Riuscire a dare una risposta a questa semplice ma molto complessa domanda risulta arduo e complicato. Secondo un’interpretazione strettamente letterale, trascorsi 21 giorni il soggetto può tornare ad uscire e ad avere contatti con la comunità anche se positivo, interrompendo di fatto l’isolamento domiciliare, tornando, ad esempio, anche al lavoro. Siamo sicuri?

Per ciò che riguarda il ritorno in ambiente lavorativo, non si dovrebbe fare riferimento al DPCM del 03.11.20?

*“L’ingresso in azienda di lavoratori già risultati positivi all’infezione da Covid-19 dovrà essere preceduto da una preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti l’“avvenuta negativizzazione” del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza”.

*Punto 2, Allegato 12 “modalità di ingresso in azienda” DPCM del 03.11.2020.

Quindi l’ingresso negli ambienti di lavoro per il soggetto risultato positivo è subordinato alla certificazione medica di avvenuta negativizzazione del tampone molecolare (e badate bene non tampone rapido) o ad una semplice certificazione di un’autodichiarazione del soggetto interessato dove è lui stesso a dichiarare e quindi ad “autopermettersi” l’interruzione dell’isolamento a seguito di 21 giorni anche senza certificazione medica (nel modello non è prevista alcuna firma da parte del soggetto medico)?

In conclusione, il reinserimento nel contesto lavorativo di un soggetto positivo a lungo termine, a nostro avviso, può oltre che creare evidenti e spesso comprensibili dissapori tra i colleghi, determinare un rischio aggiuntivo per il datore di lavoro, su cui ricade l’unica e sola responsabilità in caso di contagio interno aziendale (con tutte le problematiche connesse alla gestione dell’infortunio) a meno che lo stesso non riesca a dimostrare la condizione di isolamento del lavoratore interessato rispetto agli altri lavoratori, con relative misure di contenimento o con gli adeguati DPI.

È quindi fondamentale che il datore di lavoro faccia una scelta ponderata considerando che, in mancanza di certificato medico, la responsabilità ai sensi del D.Lgs 81/08 ricade su di lui e, per questo, può risponderne penalmente.