DPC E DPI: LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Cosa sono i DPI e i DPC?

I dispositivi di protezione collettiva (DPC) e individuali (DPI) sono misure utilizzate per garantire la sicurezza ai lavoratori, riducendo il più possibile il rischio sul luogo di lavoro.

In particolare, i DPC vengono utilizzati a livello di ambiente di lavoro per proteggere un insieme di persone piuttosto che i singoli individui andando a ridurre il rischio alla radice. Degli esempi di DPC sono i dispositivi di allarme, i sistemi di ventilazione, i parapetti, le reti di protezione, ecc.

I DPI viceversa sono strumenti, misure o indumenti progettati per essere adoperati o indossati dal lavoratore stesso al fine di proteggerlo individualmente dall’esposizione a rischi specifici quali, ad esempio, agenti chimici, biologici o fisici che potrebbero danneggiare la sua salute.

Alcuni esempi di DPI: scarpe antinfortunistiche, guanti, caschi, occhiali protettivi, cuffie antirumore, ecc.

Quando utilizzare DPI e DPC: la sentenza della Corte di Cassazione

Il caso in esame riguarda un grave infortunio avvenuto durante i lavori in quota. Il lavoratore durante il rifacimento delle guaine della tettoia della ditta appaltatrice inciampa e cade da 4 metri di altezza subendo gravi lesioni. In questa circostanza la causa principale delle lesioni è dovuta all’assenza delle reti di protezione.

La Corte di Appello ritiene la ditta appaltatrice, subappaltatrice e il coordinatore per la sicurezza responsabili di lesioni personali colpose gravi, aggravate dalla violazione del D.Lgs. 81/08, condannandoli al pagamento di una multa di 12.000 € ciascuno.

La ratio della Corte di Appello è proprio la mancanza di protezioni collettive, ritenute prioritarie rispetto a quelle individuali.

In effetti l’installazione di una linea vita sulla copertura risulta meno efficace delle misure collettive, in quanto orientata alle cadute esterne e non verso l’interno dell’edificio.

La Corte di Cassazione conferma quanto stabilito dalla Corte di Appello ribadendo l’importanza di dare priorità ai dispositivi di protezione collettiva rispetto a quelli individuali.

Secondo la sentenza la natura dei lavori da svolgere è necessariamente da considerare per la scelta delle attrezzature come stabilito dall’art. 111 del D.Lgs. 81/2008:

Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:

a. Priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;

b. Dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi. […]”

La Cassazione giudica dunque inammissibili i ricorsi presentati dai condannati:

“P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.”