IL CONTROLLO DI GESTIONE – COME FARE

Definire l’attività di Controllo di Gestione è fondamentale. Dal mio punto di vista è definibile in tre punti:

1. Checché ne dicano nei social (LinkedIn) il Controllo di Gestione non è un’attività manageriale ma, appunto, un’attività gestionale, essendo finalizzato a fornire all’organo amministrativo o al management aziendale le informazioni necessarie a stabilire le strategie aziendali.

Ciò non vuol dire che i controller non possano indicare “soluzioni”, ma le due aree “Controllo di Gestione” e “strategie e decisioni” devono rimanere assolutamente ben distinte.

Il controller non deve gestire!

2. Primo corollario al punto 1 è che il controller deve essere in staff all’organo amministrativo, sia funzionalmente che gerarchicamente. Controllando la gestione non può dipendere dai gestori, perché non si configuri la fattispecie che chi controlla sia sottoposto gerarchicamente e funzionalmente ai controllati.

3. Corollario al punto 1 e 2 è che sono fattispecie riscontrabili nei grandi gruppi:

a. Perché nei grandi gruppi esiste di norma “la Direzione Centrale Pianificazione e Controllo” altra rispetto alle direzioni amministrative e finanziarie, in staff all’organo amministrativo, a cui fanno riferimento funzionalmente e gerarchicamente i controller, sia di business area che di stabilimento.

b. Perché in queste strutture esiste la possibilità di affiancare al controller adeguate competenze tecniche. In una mia pur lontana esperienza di controller di business area, in un grande gruppo cartario, la cui produzione era energivora per definizione, la direzione centrale mise nel mio staff un giovane ingegnere affinché mi assistesse nel lavoro di controllo e ottimizzazione del ciclo di produzione di vapore tecnologico e di energia elettrica.

Una volta verificate le fattispecie ottimali - sempre dal mio punto di vista - affermo che s’impara il Controllo di Gestione e il “mestiere” di controller quasi esclusivamente nei grandi gruppi.

Corsi, cruscotti, business model che tanto sono pubblicizzati (soprattutto dopo l’avvento della OCRI) forniscono competenze e packages utili all’analisi finanziaria, analisi necessaria ma assolutamente propedeutica al Controllo di Gestione, quando si devono mettere “le mani in pasta”, utilizzando di solito Excel e “olio di gomito”.

E le PMI?

Scontano di solito difficoltà aggiuntive che rendono spesso impraticabile un Controllo di Gestione “indipendente”.

Mentre normali competenze e attenzione rendono proficua l’analisi finanziaria, individuare KPI attendibili, per il Controllo di Gestione è tutt’altro che semplice, assolutamente complicato se calato nella realtà delle PMI italiane, perché:

1. La maggior parte delle PMI sono imprese familiari, di prima generazione (padre e figli), di seconda generazione (fratelli e nipoti) e di terza generazione (cugini).

2. Dove spesso ad una maggior coesione dovuta ai vincoli familiari, si contrappone:

a. Posizioni apicali dell’azienda “occupate” per vincoli familiari, aldilà del merito;

b. Decisionalità influenzata o addirittura impedita da dinamiche familiari;

c. “Bulimia” del management dovuta alla successione generazionale.

3. Dove spesso esiste un’unica struttura, Direzione amministrazione, finanza e controllo, (che riporta naturalmente alla proprietà) dove controllo è solo al terzo e ultimo posto.

Questa peculiarità, molto italiana, dove il management spesso coincide con la proprietà familiare, per la verità non è solo limitata alle PMI, basta pensare alle saghe di grandi famiglie imprenditoriali, i Ferrero, i Tanzi, i Ferruzzi/Gardini, i Cragnotti, i Benetton etc.

Ma in ogni caso, specialmente nelle PMI, è una peculiarità che rende virtualmente impossibile un’attività di Controllo di Gestione indipendente.

Controllare il ciclo produttivo di una azienda manifatturiera, quando il direttore di produzione è parte della famiglia, della proprietà e siede nel consiglio di amministrazione, è perlomeno disagevole.