LA “GUERRA” DELL’ITALIA AL COVID A COLPI DI RESTRIZIONI, BONUS E RISTORI

Se quella contro la pandemia è una guerra, l’Italia è in guerra, una guerra a cui è - sino ad oggi – è riuscita a rispondere se non con restrizioni, bonus e ristori. Quale situazione l’attende, non si sa quando, in un dopoguerra molto difficile, più di quanto oggi s’immagini?

Per ora c’è una sorta di “pensiero unico” a cui nessuno si sottrae. Pandemia, a cui seguono restrizioni che – seppur diversificate territorialmente – penalizzano ampi settori economici, bonus anche sotto forma di CIG ai lavoratori dipendenti, ristori alle imprese più colpite.

È di oggi la necessità di varare il quinto decreto Ristori per evitare che i mancati introiti da lockdown si traducano in una chiusura generalizzata delle attività economiche. Lo scostamento sul quale il governo ha chiesto l'autorizzazione al Parlamento vale 32 miliardi. La ripartizione delle risorse pare essere già stata definita: 5,5 miliardi di euro andranno al prolungamento di ulteriori 18 settimane della cassa-Covid senza oneri per le imprese, 3 miliardi andranno alla sanità, 1 miliardo rispettivamente a Comuni e Regioni e al trasporto pubblico locale, mentre circa 5 miliardi dovrebbero essere destinati alla rottamazione-quater e al rinvio delle cartelle esattoriali. Il resto (poco meno di una quindicina di miliardi) dovrebbe essere destinato ai ristori per le imprese.

Ma cosa fare se il Coronavirus – più o meno variato – imperversasse per tutto il 2021 – 2022 con scenari simili a quelli già presenti nel Regno Unito, USA, Brasile etc. con una terza, quarta e Dio sa quale ondata?

Stranamente – ma forse non troppo – è una fattispecie completamente assente dal pubblico dibattito, monopolizzato soprattutto dal come spendere i denari che dovrebbero giungere dalla Ue.

Solo la voce del professore Mario Monti si è levata gettando un “sasso nello stagno” del pensiero unico, provocando nell’immediato furiose reazioni, ma poi sparendo in una sorta di una virtuale censura.

Secondo Monti, i ristori non dovrebbero essere più destinati genericamente a tutte le attività imprenditoriali ma solo a quelle che hanno concrete possibilità di sviluppo dopo la pandemia, mentre per i destinati alla cessazione sarebbe più opportuno preparare ammortizzatori sociali più adatti al reinserimento delle maestranze sul mercato del lavoro.

Cito qui di seguito testualmente quanto dichiarato al Corriere della Sera:

“Diviene perciò importante porsi con urgenza il problema di quanto abbia senso continuare a ristorare con debito, cioè a spese degli italiani di domani, le perdite subite a causa del lockdown, quando per molte attività sarebbe meglio che lo Stato favorisse la ristrutturazione o la chiusura, con il necessario accompagnamento sociale, per destinare le risorse ad attività che si svilupperanno, invece che a quelle che purtroppo non avranno un domani”.

Per l’ex premier le migliaia di attività che stanno per fallire non meritano i ristori perché non sono state virtuose nel sapersi adattare alle mutate condizioni. Interi settori, dunque, dovranno subire la transizione imposta dalla nuova società del distanziamento sociale. La motivazione che usa Monti per giustificare queste affermazioni è di proteggere le future generazioni dalla zavorra del debito pubblico.

Continuando a citare testualmente:

“Mi aspetto che il governo spieghi meglio agli italiani che oggi vi sono ragioni eccezionali per non curarsi troppo dell’aumento del debito, ma che probabilmente prima della fine di questa legislatura cambieranno alcune cose nella Ue. La «revisione strategica» della politica della Bce, che Christine Lagarde ha avviato, difficilmente permetterà di fare affidamento a lungo sulla possibilità di finanziare a costo zero il disavanzo italiano”.

E il “Tecnocrate liberista” Mario Monti inizia a dettare le sue ricette per ripagare tutto il debito contratto con la Ue in questi mesi, e nei prossimi:

“Ridurre le disuguaglianze e avvicinarsi all’uguaglianza dei punti di partenza (di tutte le «pari opportunità» abbiamo dimenticato proprio questa). Riforma fiscale, con adeguato spazio alle semplificazioni, a un fisco «friendly ma non troppo» verso i contribuenti, alla necessità di salvaguardare la competitività. Ma anche, senza pregiudizi in alcuna direzione, ai temi che solo in Italia sono considerati tabù, temi che tutti i partiti, pavidi, non osano neppure pronunciare. Imposta ordinaria sul patrimonio, imposta di successione, imposizione sugli immobili e aggiornamento del catasto, imposizione sul lavoro, etc.”

Perché – pur se cambieranno alcune cose nella Ue – in qualche forma, speriamo più corretta della precedente dal punto di vista economico – verrà reintrodotta una disciplina di disavanzi e debiti pubblici, e noi più di altri arriveremo a quell’appuntamento, dopo l’impennata di questi anni, in una posizione molto pesante.

Si direbbe il solito Mario Monti “lacrime e sangue” incurante della “macelleria sociale” che i suoi scenari disegnano.

Ma se vi sono fattispecie alternative, nessuno ne parla, né i governi, né i politici, né gli economisti tutti sperando che i vaccini, la bella stagione, l’immunità di gregge o quant’altro debelli la pandemia.