LE INFORMAZIONI SUL TELEFONO (CHE) VALGONO PIÙ DEL TELEFONO

Se uno smartphone può perdere fino al 78% del suo valore in un anno, i dati che lo stesso contiene ne acquistano invece di giorno in giorno.

Un rapporto inversamente proporzionale, che sottolinea come il valore si sia spostato sulla qualità e sul volume delle informazioni contenute in un dispositivo, più che sul dispositivo stesso.

E infatti proprio gli smartphone stanno rivestendo un ruolo centrale nell’acquisizione dei dati generati dagli utenti, in quanto dispongono di numerosi dispositivi di input (come i sensori di movimento, di luminosità, di localizzazione, la tastiera e il touch screen) integrati in un unico strumento sempre connesso ad Internet e che accompagna l’utente in tutte le sue attività quotidiane.

Altresì, è importante evidenziare che in uno smartphone l’acquisizione dei dati avviene, da un lato, attraverso il sistema operativo e, dall’altro, dalle applicazioni preinstallate o successivamente acquistate ed installate dall’utente (situazione ulteriormente accentuata dall’abitudine di ognuno di condividere le informazioni salvate sul dispositivo con la casa fornitrice dell’applicazione in questione) che vengono in automatico acquisiti e archiviati dai rispettivi sviluppatori.

È indubbio che in una valutazione generale, tutte le attività online degli utenti (quali l’invio e la ricezione di posta elettronica, la navigazione satellitare o l’uso di servizi di social network, il pagamento di un servizio o la consultazione della home banking) – a prescindere dal dispositivo utilizzato – generano un’enorme quantità di dati, tipicamente personali, che alimentano una copiosa attività di archiviazione, raffronto e confronto, comunicazione e profilazione. A tal proposito, si evidenzia che le modalità di funzionamento dei servizi online concorrono a moltiplicare le possibilità di acquisizione di ciascun singolo dato generato con l’utilizzo di device elettronici personali.

Non a caso, una nota azienda che si occupa dello sviluppo di software di protezione informatica, aveva reso noto che, a seguito di una propria ricerca, il valore medio dei dati personali registrati su Internet era di circa 40 euro (poco più di 37 euro al cambio attuale), mentre il valore medio dei dati salvati sui computer e sui dispositivi mobili degli utenti era di 612 euro (poco più di 578 euro al cambio attuale).

È indubbio che il valore, di qualche anno fa, non potrà che essere, a distanza di tempo, rivalutato verso l’alto in termini di valore economico, considerando che nel corso dei mesi la quantità dei dati presenti nel dispositivo non può che essere aumentata.

Questo è uno dei motivi che spinge molti hacker a colpire i dispositivi personali e di conseguenza molte vittime a desiderare di recuperare i dati pagando il riscatto richiesto, che spesso si aggira intorno alla metà di questo valore.  

Aprire un account su un social network o richiedere un servizio su Internet è questione di secondi: pochi clic, la scelta di un nome e di una password ed il gioco è fatto. Operazioni rapide che non prevedono alcun costo per l'utente, ma che generano valore per quelle società che offrono il servizio.

Altresì l'esplosione dei siti di social networking ha comportato una svalutazione, ovvero una minor considerazione del valore dei dati, condivisi, diffusi, moltiplicati nel web senza alcun tipo di contezza, con un esponenziale aumento di valore della piattaforma di condivisione stessa.

Non a caso le società coni maggiori guadagni al mondo sono quelle detentrici dei Big Data e questo perché i dati costituiscono un valore aggiunto per le potenzialità e dei vantaggi che offrono a chi li elabora. Ad esempio, si stima che gli asset di Facebook valessero circa 6,3 miliardi di dollari al momento della sua quotazione in borsa nel 2011 mentre oggi supera i 100 miliardi di valore evidenziando l’enorme contributo delle sue risorse intangibili.

“Tanto è gratis”. Se non che il vero business model dei social network siamo noi, le tracce che lasciamo quando navighiamo, consumiamo, visualizziamo o clicchiamo inserzioni.

Senza questi dati verrebbe meno tutto il modello economico incentrato sui Big data. Stando ai bilanci 2016 di Facebook, il valore medio di un utente, sul social, si aggira intorno ai 16 dollari (poco più di 15 euro al valore attuale).

Il valore di un profilo cambia in base al social network e che lo stesso è soggetto a oscillazioni derivate dal numero di utenti attivi di quel determinato social, dalla loro potenzialità di spesa (superiore sembra per chi ha anche un account su Linkedin), la collocazione geografica della propria base e in generale la possibilità di trasformare i dati in valore economico.