LE “TRE PROFEZIE” DI GIULIO TREMONTI

La vulgata è che davanti allo “tsunami” provocato dal Coronavirus, l’Occidente è stato colto del tutto impreparato e che le stesse fasi successive siano in territorio del tutto sconosciuto.

Ma in effetti questa pandemia ha agito da elemento catalizzatore, mettendo allo scoperto contraddizioni ed inefficienze del sistema economico e del mondo che abbiamo creato negli ultimi tre decenni, il mondo della globalizzazione.

Parlare oggi dei limiti della globalizzazione può apparire quale un vano esercizio del “senno di poi” che viene – appunto – dopo tre decenni di trionfalistico assenso e di adesione incondizionata alle logiche del libero mercato globale.

Varie correnti intellettuali con accenti diversificati, fin dall’inizio avevano messo in guardia contro le storture di uno sviluppo governato solo dal mercato, in parte per opposizione ideologica al libero mercato, proprio della tradizione marxista (per quanto anche in quel campo non siano mancati ferventi sostenitori del mercato globale contro la rendita di posizione e parassitaria).

Ed ora in mezzo a tanti predicatori retroattivi dimentichi del fatto che Google non perdona, facendo riaffiorare tutto quello che negli anni passati, e sbagliando, hanno detto e scritto, allora per vivere e ora, predicando l’opposto, per sopravvivere, c’è anche chi da posizioni di partenza non certo vetero comuniste (il professore Giulio Tremonti che è stato ministro dell’economia nei governi Berlusconi) e fin dalla prima ora critico verso la globalizzazione.

Dalla primavera del 2019 – quando la pandemia non era presente neanche nei peggiori incubi - è in distribuzione il suo libro “Le tre profezie – appunti per il futuro dal profondo della storia”, un saggio e una provocazione sulla crisi economica e politica del nostro Paese.

Per capire il grande disordine che oggi investe le nostre vite, Giulio Tremonti prende spunto da tre profezie che emergono dal profondo della storia. Quella di Marx sulla deriva del capitalismo globale, la previsione del Faust di Goethe sul potere mefistofelico del denaro e del mondo digitale (dove al posto del vecchio cogito vale un categorico digito ergo sum!). Infine l’intuizione di Leopardi sulla crisi di una civiltà che diviene cosmopolita.

Senza alcuna pretesa di recensire (la recensione la lasciamo agli addetti ai lavori) ci sembra utile portare a conoscenza, per chi ancora non lo ha letto, il pensiero dello studioso – divulgatore Giulio Tremonti, che ha esordito presentando il libro (il 17/07/2019) con: “La globalizzazione ha fallito. Per trent’anni abbiamo vissuto nel dorato mondo dell’Eden, della pace perpetua, dove tutto è positivo e progressivo. Abbiamo avuto l’illusione di uscire dalla storia” aggiungendo – presentando la quarta edizione (26/04/2020) alla luce della pandemia in corso “Tutto ha inizio con un “incidente della storia, l’evento è in un luogo remoto della Cina. Un luogo che, guardando alla mappa luminosa di Google, sembra un buco nero.

In realtà lì dentro c’è mezzo miliardo di persone, almeno: vecchi in ambiente rurale. Ma questa, forse, è la grande occasione per costruire un mondo migliore, un mondo in cui c’è lo Stato e c’è il mercato, non solo il mercato senza lo Stato.”    Del resto non sono nuove tesi per Giulio Tremonti.

Nel 1995 ne: “Il fantasma della povertà” affermava che nel futuro avremmo dovuto fare i conti con un cambio di passo nel rapporto fra economia e politica. È l’economia a determinare la politica mentre dovrebbe essere la Politica (con la P maiuscola) a governare l’economia. Tremonti allora scriveva: “Non saranno più gli stati a scegliere come tassare le compagnie ma le compagnie a scegliere come farsi tassare a seconda della loro convenienza”.

Nel 2007 con “La paura e la speranza” indicava una comune consapevolezza: la globalizzazione ha un lato oscuro fatto di disoccupazione e bassi salari, crisi finanziaria, rischi ambientali e pericolose tensioni internazionali. Per l’Europa un doppio declino, da una parte la decrescita delle nascite, dall’altra la riduzione della produzione.

Nel 2016 con “Mundus furiosus” tracciava le minacce, mai così evidenti come oggi, circa la crisi della finanza, le migrazioni di massa, le macchine digitali che distruggono il ceto medio rubandogli il lavoro ed anche il pensiero.

Ci siamo serviti delle parole di Giulio Tremonti e continuiamo a “saccheggiare” i testi delle interviste rilasciate nelle presentazioni del libro, in un intento assolutamente divulgativo.

LE TRE PROFEZIE – APPUNTI PER IL FUTURO DAL PROFONDO DELLA STORIA

PRIMA PROFEZIA

Secondo il diritto romano, ciò che è nel sottosuolo appartiene di diritto al sovrano. In base a questo principio, il sovrano non deve realmente estrarre l’oro che c’è nel sottosuolo, gli basta dire che l’oro c’è, e tutti gli daranno fiducia, accettando i pezzi di carta che vengono così a incorporare la sua parola, concretando una cambiale mefistofelica. Questo è un esercizio che si può ripetere all’infinito, tanto da rendere continuamente possibile pagare i vecchi debiti facendone dei nuovi, pagare gli interessi ai primi con il denaro dei secondi, con una magia che permette di creare ex nihilo (dal nulla!), e senza limiti, una ricchezza di tipo nuovo, immateriale e infinita, come nel libero volo dei “biglietti alati”». Questa profezia non è stata solo sulla creazione delle banconote (“i biglietti alati”), ma in generale sul potere che può essere sprigionato dalle “cambiali mefistofeliche”. E così sulla possibilità di andare per astrazione oltre la realtà materiale, sostituendola con realtà inventate e con mondi virtuali.

In effetti è in questo mondo virtuale che si propone di intervenire in soccorso di aziende e famiglie con contributi a fondo perduto, di sospendere o addirittura annullare imposte e contributi sociali, nel contempo continuando a pagare retribuzioni dei dipendenti pubblici, pensioni e cassa integrazione, finanziando sanità e macchina statale. Tutto a debito, non domandandosi come e quando il debito sarà saldato e da chi.

Biglietti alati, dunque. Per un’opera, “Il Faust”, uscita in prima edizione nel 1831. A ispirare Goethe - nota Tremonti - può essere stato il caso dei titoli della Louisiana, titoli rappresentativi di remote, sconfinate ma in realtà inesistenti ricchezze di cui invece si pensava e si diceva che essa disponesse. Ma, certo, quel passaggio sui biglietti alati ha qualcosa di profetico, rispetto a quanto sarebbe successo oltre un secolo e mezzo dopo in Occidente».

SECONDA PROFEZIA

La seconda profezia è di Leopardi. Tremonti scova suoi passaggi che sembrano scritti da un nostro contemporaneo che chiosa la fine della globalizzazione e la crisi dell’Europa. «Quando tutto il mondo fu cittadino Romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino Romano fu lo stesso che Cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo: l’amor patrio di Roma divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo: e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno e i cittadini Romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto». Così Leopardi nello “Zibaldone”, composto fra il 1817 e il 1832, definisce la costruzione, l’adesione e poi il distacco - fino a una sorta di anomia - di una civiltà, come quella di Roma, che è stata globale e cosmopolita. Leopardi prevede la crisi dell’ordine posto dal Congresso di Vienna, nel 1815. Le sue parole potrebbero allo stesso modo essere riferite alla lacerazione identitaria prima che istituzionale dell’Unione europea di oggi.

TERZA PROFEZIA

La terza profezia è quella di Marx che, nel 1848, pubblica con Engels il “Manifesto del Partito Comunista”: «Lo stregone non potrà più dominare le potenze sotterranee da lui evocate». Marx si riferisce alla borghesia. Ma, davvero, le élite della globalizzazione - o, meglio, quella che Tremonti definisce la loro “mente collettiva” - hanno edificato un mondo - basato sulla ideologia della globalizzazione e sullo spossessamento delle autorità statali, sulla finanziarizzazione dematerializzata e sulla materializzazione delle reti sulla tecnologia e sulle coscienze - in cui le potenze sotterranee evocate sono sfuggite loro di mano.

Il limite viene superato quando cadono i confini, politici, nazionali, ma anche reali e quando con la globalizzazione la ricchezza viene inventata in rete. La ricchezza non è più reale; viene creata in modo artificiale attraverso la rete, i computer, in cui i biglietti iniziano a staccarsi dalla realtà. In un contesto in cui la massa finanziaria è sempre più scollata dall’economia reale, diventa difficile dire quando l’evoluzione è diventata involuzione.

Ricordiamo che gli otto uomini più ricchi del mondo guadagnano da soli quanto metà della popolazione globale e, esclusi un paio di loro, fanno tutti parte di quell’élite economica, quei giganti del web, che vogliono migliorare la qualità della vita delle persone e però poi vogliono mettergli il braccialetto elettronico per controllare il livello di produttività sul lavoro. L’innovazione, però, non va fermata ma governata. E per farlo fare serve un ritorno alla politica.

Le tesi esposte da Giulio Tremonti possono riassumersi nell’esigenza di ripristinare il primato della politica sull’economia e il mercato.

Un esempio che non siano teoria intellettuale ma abbiano diretto contatto con i fatti e i problemi che si pongono in fase di ripartenza, è sul filo della cronaca di questi giorni.

Da anni il totale delle mascherine chirurgiche consumate nell’Occidente sono state prodotte in Cina. Il prezzo non remunerava di gran lunga la produzione autoctona. Con lo scoppio della pandemia, un vertiginoso aumento della domanda ha causato una rarefazione del prodotto con conseguente difficoltà di approvvigionamento e – al netto dello sciacallaggio – un naturale aumento del prezzo. L’incremento del prezzo, unito alla considerazione che per un bene diventato strategico non ci si potesse affidare solo all’importazione, ha motivato la riconversione di parte del tessile alla produzione di mascherine, produzione che ritornava ad essere remunerativa. Nell’intento di pianificare la “fase 2”, dovendo mettere un tetto all’esborso familiare per le mascherine, invece di coprire con la fiscalità generale la differenza di costo tra la produzione cinese e quella nazionale, il commissario straordinario ha tout court calmierato il prezzo di vendita, che se non remunerativo distruggerà la capacità produttiva interna appena riconvertita, lasciando libero il campo a importazioni più o meno lecite, aprendo la strada alla borsa nera delle mascherine e, comunque nella migliore delle ipotesi, ritornando al punto di partenza.

Primato della politica, in questo caso, sarebbe stato – se si considera prodotto strategico la mascherina e strategica una consistente quota di produzione interna – un intervento pubblico teso, appunto a tutelarne la remunerazione.

Fonte: articolo tratto da: “Le tre profezie. Appunti per il futuro dal profondo della storia”, di Giulio Tremonti

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