PUÒ ESISTERE UN PARADISO (FISCALE) ANCHE PER I PENSIONATI ITALIANI?

Secondo i dati Inps, le pensioni pagate all’estero nel 2018 costano oltre un miliardo di euro e sono state erogate a circa 400 mila persone in 160 Paesi, con vitalizi record a chi si è trasferito a Cipro e negli Emirati Arabi, ma anche in Portogallo. A favorire l’emigrazione ci sono il minor costo della vita, in particolare nei Paesi dell’Est Europa e le politiche di defiscalizzazione o esenzione dei redditi da pensione nel Paese estero.

Parafrasando il titolo di un vecchio film di Elio Petri “La classe operaia va in paradiso” del 1971 possiamo dire che un paradiso – in tono minore – può esistere anche per i pensionati italiani.

Se l’assegno previdenziale non soddisfa le esigenze dei nuovi pensionati, l’alternativa di trasferirsi in paesi tax free diventa assai attraente. Sembra un trend che va consolidandosi nel tempo e che richiede un’attenta analisi circa la fuga dei nostri portatori sani di pensione. È il desiderio di molti quello di poter condurre una vita agiata e dignitosa al termine della propria carriera lavorativa. Ambizione non sempre realizzabile se agli importi di assegno ridotti si associa una pesante tassazione. Ci sono, tuttavia, delle realtà estere che potrebbero rappresentare una valida alternativa per i pensionati che desiderano disporre di maggiore liquidità. Secondo le ultime stime, nello scorso 2019 sono stati quasi 400 mila gli italiani pensionati che hanno deciso di spostare la propria residenza all’estero.

Per beneficiare dei vantaggi fiscali offerti da altri paesi occorrono alcuni requisiti, non è sempre sufficiente trasferirsi fisicamente all’estero ma occorre spostare la propria residenza nel Paese prescelto. Inoltre, per non rischiare una doppia tassazione, occorre rispettare tali requisiti:

• Iscrizione all’AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero);

• Non risiedere né avere domicilio in Italia per un periodo superiore alla metà dell’anno;

• Risiedere in un Paese estero per almeno 184 giorni l’anno.

Queste sono le condizioni necessarie per potersi considerare dei pensionati beneficiari dei vantaggi esteri. Tale condizione vale per i pensionati da lavoro privato. Situazione un po’ differente e meno vantaggiosa è quella dei pensionati da lavoro pubblico.

Ma quali sono i regimi più convenienti per chi vuole valutare l’espatrio?  E soprattutto quali sono i rischi insiti nella normativa fiscale italiana di questa nuova tendenza? Come fare per evitare contestazioni da parte dell’erario?

La prospettiva di ottenere un beneficio fiscale dipende dalla possibilità di perdere la residenza fiscale italiana. Se il pensionato si trasferisce all’estero ma mantiene la residenza in Italia non ha diritto ad alcuna agevolazione. Dal 2006, peraltro, i Comuni con l’azione congiunta dell’Agenzia delle Entrate effettuano specifici controlli sui trasferimenti di residenza all’estero.

Questo per effetto dell'applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio stretta tra Italia e Paesi terzi. Dunque per decidere diventa centrale in particolare passare in rassegna le convenzioni tra singoli paesi.

Per poter lasciare la residenza fiscale italiana occorre - oltre che rispettare le regole citate (art. 2, co.2 del Dpr 917/86), - non mantenere in Italia il proprio “centro di interessi vitali” (questo è il criterio più importante in quanto viene spesso utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per contestare la residenza in Italia). Per esempio non si dovrebbero mantenere in Italia immobili, rapporti con intermediari finanziari e neanche lo stesso conto corrente su cui è accreditata la pensione.

Questo specifico criterio prevede infatti che il pensionato “ricostruisca” i propri legami personali nel Paese estero, ad esempio richiedendo il passaporto estero, iscrivendosi a club o circoli, utilizzando immobili o autoveicoli esteri.

Inoltre, ai fini del conseguimento di un risparmio fiscale, anche la scelta del Paese estero di residenza è importante, in quanto lo stesso deve aver stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni con l’Italia e tale convenzione deve prevedere la tassazione esclusiva nel Paese della residenza (Circolare Inps 176/1999).

Nella tabella che segue si può evincere la tassazione applicata ai vitalizi percepiti all’estero dai lavoratori privati; (nota: confronto del costo della vita con Milano).

Ma come risponde l’Italia a questo assalto alla diligenza – come si vede dalla tabella, del resto non esaustiva, coinvolge anche Paesi dell’Unione Europea – che tende a far pagare le imposte – seppur agevolate – e soprattutto a far spendere ai pensionati abbienti le proprie risorse all’estero?

L’agevolazione legata ai pensionati esteri che decidono di trasferirsi in Italia è prevista dall’articolo 24-ter del DPR n 917/86 (TUIR). La norma prevede una tassazione del 7% del reddito da pensione estera in Italia.

Per ottenere l’agevolazione, di cui all’art. 24-ter del TUIR, sono previste alcune rigide condizioni da rispettare:

• Non essere stati residenti in Italia nei 5 periodi di imposta precedenti a quello in cui l’opzione diventa efficace;

• Essere titolari di redditi da pensione ed assegni ad essi equiparati erogati da soggetti esteri;

• Trasferire la residenza in Italia, ai sensi dell’art. 2 del TUIR, in uno dei Comuni appartenenti al territorio del “Mezzogiorno”, con popolazione inferiore ai 20.000 abitanti, situati nelle seguenti Regioni: Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia;

• Trasferire la residenza da paesi con i quali sono in vigore accordi di cooperazione amministrativa.

La Flat tax per pensionati esteri è valevole per tutti i redditi di fonte estera.

Una volta soddisfatti tali requisiti, qualsiasi reddito di fonte estera o prodotto all’estero è soggetto ad un’imposta sostitutiva del 7%. Naturalmente, condizione imprescindibile, è che i percettori di tali redditi siano pensionati.

Obiettivo preminente del legislatore è quello di favorire la ripresa economica delle Regioni del Sud.

Difatti, l’arrivo di pensionati stranieri, con una maggior capacità di spesa, potrebbe portare ad una ripresa dei consumi.

La norma non offre però condizioni di favore per i pensionati italiani. Di conseguenza, potrebbe verificarsi il fenomeno inverso: l’attrazione di pochi pensionati stranieri e l’emigrazione di molti pensionati italiani. Detto in altri termini, lo strumento non è finalizzato a invertire la tendenza dei pensionati italiani a cercare regimi più favorevoli oltre confine.

Buonsenso vorrebbe, se la ratio è quella di favorire le regioni più svantaggiate e nello stesso tempo di contrastare il fenomeno dell’emigrazione “fiscale” dei pensionati, estendere una sorta di flat tax (non necessariamente del 7%, ma anche ad esempio del 15%) a tutti quei pensionati italiani che trasferiscano la propria residenza fiscale ed effettiva in un paesino del Sulcis o dell’Aspromonte, spendendo in loco i propri denari.