VACCINI E TUTELA DELLA SALUTE: COSA FARE IN CASO DI RIFIUTO ALLA VACCINAZIONE?

A seguito dell’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del virus Covid-19, il tema legato alla vaccinazione sta diventando sempre più discusso, soprattutto quando relazionato alle conseguenze che può portare il rifiuto di sottoporsi a vaccinazione da parte del lavoratore, tanto che abbiamo deciso di approfondire ulteriormente l’argomento, riallacciandoci agli articoli pubblicati previamente nel presente canale.

Diritto Individuale Vs. Tutela della Collettività: uno sguardo alla normativa

L’intera discussione sembra essere montata sul binomio imprescindibile tra diritto individuale e diritto collettivo: l’art. 32 della nostra Costituzione definisce infatti la tutela della salute quale “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” ma allo stesso tempo, al comma 2. Recita: “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

In ultima analisi, è necessario un provvedimento normativo specifico che imponga la vaccinazione per rispondere all’esigenza di tutela dello stato di salute della collettività.

Per ciò che concerne gli ambienti di lavoro, occorre fare riferimento all’art. 2087 del Codice Civile in base al quale il datore di lavoro deve adottare secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori. Essendo la stessa una norma caratterizzata da un’enorme portata di apertura, non può essere considerata quale legislazione specifica per introdurre l’obbligatorietà della vaccinazione quale massima misura di sicurezza tecnicamente possibile.

Altro punto di fondamentale importanza è esemplificato dall’art. 279 del D.Lgs 81/08 e s.m.i., che definisce i “vaccini efficaci” come “misura speciale di protezione” i quali sono somministrati dal medico competente.

In questa considerazione, si deve però anche tener conto del Protocollo Condiviso del 24 aprile 2020 che classifica il rischio di contrarre infezione da Covid-19 come rischio biologico generico di natura esogena. Ciò significa che lo stesso verrà considerato come rischio professionale solo per quelle mansioni che prevedono una “esposizione professionale” agli agenti di tipo biologico. Per tutte le altre mansioni, il rischio di contrarre il Covid-19 in ambito lavorativo, è lo stesso di contrarlo in tutti gli altri contesti sociali.

La conseguenza principale di questa classificazione è che le disposizioni dell’art. 279 sono applicabili solamente a tutte quelle attività che prevedono il rischio biologico come rischio specifico della mansione.

Rifiuto del lavoratore alla vaccinazione: quali sono le conseguenze?

Ovviamente, la domanda che a molti risulta spontanea è: cosa succede quando il lavoratore rifiuta la vaccinazione? Può essere licenziato?

Partiamo dal presupposto che, come anticipato precedentemente, si sta parlando di attività nelle quali il rischio biologico è di tipo specifico (es. operatori sanitari) e, per questo, il datore di lavoro, insieme al medico competente, ha previsto quale misura speciale di protezione la vaccinazione dei lavoratori.

Il licenziamento disciplinare, in caso di rifiuto, non è motivato sufficientemente, né per giusta causa, né per giustificato motivo ma il lavoratore sarà giudicato dal medico competente, in base al protocollo sanitario elaborato, come inidoneo, temporaneamente o permanentemente, alla mansione specifica.

Da questo punto si applicano le disposizioni dell’art. 42 del D.Lgs 81/08 e s.m.i.

Articolo 42 - Provvedimenti in caso di inidoneità alla mansione specifica

1. Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6 []idoneità con limitazioni, inidoneità temporanea o permanente], attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.

Si può dire quindi che il datore di lavoro deve individuare all’interno della realtà organizzativa, una mansione che non esponga il lavoratore al rischio specifico e, solo se questo non è possibile, si può procedere all’interruzione del rapporto di lavoro (è da considerare anche il fatto che attualmente i licenziamenti sono sospesi).

Covid-19, vaccinazione e infortuni sul lavoro

Il Testo Unico degli Infortuni, definiva già nel 1904 un infortunio come evento avvenuto per causa violenta, in occasione di lavoro, dal quale deriva una lesione o un danno. Tutti i contagi dovuti ad esposizione ad agenti biologici, ad esclusione della tubercolosi, sono considerati dall’INAIL degli infortuni sul lavoro, mantenendo tutte le caratteristiche di questi ultimi. L’Art. n. 42 del DL 18/2020 convertito dalla L. n. 27 del 24/04/20 (Decreto Cura Italia) riconosce i casi accertati di Covid-19 in occasione di lavoro come infortuni.

Occorre però fare un ulteriore passo in avanti: cosa succede se un lavoratore rifiuta il vaccino anti-Covid, in presenza di un’indicazione formale da parte del medico competente di sottoporsi a vaccinazione?

Si pone quindi il problema del rifiuto da parte dell’INAIL di riconoscere la malattia come infortunio in occasione di lavoro e fornire l’indennizzo.

Inizialmente la giurisprudenza si proponeva di includere nella definizione di “occasione di lavoro” tutte le condizioni in cui si svolgeva l’attività lavorativa che potevano rappresentare un rischio per il lavoratore.

In seguito l’indennizzo è stato esteso anche ai casi di rischio improprio (rischi non tipici dell’attività lavorativa in essere ma insiti in un’attività di tipo prodromico o strumentale).

È da evidenziare che, essendo difficile provare l’origine lavorativa della malattia, la circolare 13/2020 dell’INAIL ha elencato una serie di attività nelle quali si ha una “presunzione semplice di origine professionale del contagio da Covid-19 operante a favore di alcune categorie di lavoratori”.

In conclusione sembra che, almeno per il momento, l’INAIL sia favorevole a riconoscere come infortunio sul lavoro il contagio da Covid-19 anche nel caso di operatori sanitari che hanno rifiutato la vaccinazione.