La misurazione della performance aziendale viene fatta abitualmente mediante indicatori economico-finanziari (ad esempio: ROE, ROI, ROS, liquidità, solidità patrimoniale).
La loro utilità per monitorare lo stato di salute dell’azienda è fuori discussione: farne a meno significa spesso navigare a vista nelle acque agitate della competizione di mercato.
Tuttavia, da parecchio tempo ci si domanda se siano sufficienti per avere un quadro completo della situazione e per avere chiaro quali sono le leve gestionali per migliorarla.
La risposta è che le misurazioni “contabili” sono necessarie. Fino a prova contraria gli obiettivi di fondo delle imprese, cioè dei loro proprietari, sono obiettivi di redditività.
Ma il profilo economico-finanziario non basta.
Per quanto si spingano in analisi, gli indicatori contabili esprimono dei “sintomi”, che non possono dire più di tanto sulle loro cause gestionali, cioè fattori concreti e tangibili, come la qualità dei prodotti, il loro mix, l’efficienza dei processi per progettarli, produrli e venderli, l’organizzazione del lavoro, il livello tecnologico, ecc.
Da questa ovvia constatazione deriva una tendenza a riqualificare il report direzionale, cioè quel quadro di controllo o cruscotto di cui dovrebbe avvalersi il proprietario, l’amministratore o chi comunque la guida.
Semplifichiamo il problema, rendendolo adeguato anche alla realtà delle piccole imprese.
A livello globale d’azienda, è fuori di dubbio che un ottimo indice di performance è ROI (Return On Investment), che dà una misura della redditività ottenibile dal capitale investito nella gestione operativa.
Con il ROI concentriamo la nostra attenzione su ciò che viene prima di tutto: l’attitudine a gestire il business aziendale in modo efficiente (risparmiando risorse e riducendo i costi) e con efficacia (raggiungendo volumi d’affari adeguati).
Tuttavia, una volta che constatiamo che il ROI è al di sotto delle nostre aspettative, ci dobbiamo chiedere perché.
Di solito si fanno le analisi contabili di rito (incidenza % dei vari costi sui ricavi, turnover del capitale investito e, in particolare, del capitale circolante, ecc.), con l’aiuto dell’ufficio amministrativo e del consulente di fiducia.
Poi però, inevitabilmente, ci rendiamo conto che le ragioni profonde della redditività non risiedono nei numeri contabili, ma nei loro “driver” gestionali, e allora si chiamano in causa i collaboratori commerciali e tecnici.
Si costruisce così un set di indicatori non monetari, caratterizzati da una gran varietà di unità di misura (n. unità, ore, metri, percentuali assortite), con il rischio però di farli proliferare troppo e di perdere il filo logico che li lega tra di loro e agli indici “finali”, di tipo contabile.
Come fare per risalire ai driver più importanti e nello stesso tempo averne un quadro d’insieme coerente e sistemico?
Come spesso accade in materia di Controllo di Gestione e di reporting, una soluzione univoca non esiste. Nello stesso tempo va accuratamente evitato il “fai date”, cioè soluzioni che creano confusione proprio dove bisogna fare più chiarezza (le piccole imprese).
Il tema sul tappeto è la creazione di un reporting completo, capace di includere:
- Indicatori contabili ed extra-contabili;
- Legati tra di loro da evidenti nessi causali (rapporti di causa-effetto);
- Espressivi di gestione corrente e di gestione strategica.
In anni più o meno recenti ci si è sbizzarriti nel dare un’etichetta accattivante a tali tipi di report: cruscotto, tableau de bord, Balanced Scorecard e altri ancora.
L’ultimo modello citato (Balanced Scorecard) merita particolare attenzione, perché è rigoroso, senza essere troppo complicato.
Balanced Scorecard (BSC) significa report bilanciato, dove il bilanciamento riflette tutti e tre i requisiti appena citati.
Perché questo sia possibile, occorre prima di tutto disaggregare il business aziendale (che tipicamente mira ad un certo livello di ROI) in 4 fondamentali prospettive, legate da relazioni causali (vedi le frecce):
Qui di seguito si presenta un esempio di sistema di indicatori per “catturare” in modo coordinato gli obiettivi e i fattori-chiave di successo (FCS) delle 4 prospettive.
Esso si riferisce ad una piccola catena di distribuzione di abbigliamento femminile, rivolto ad un target di clientela medio-alto (donne giovani in carriera) e, particolare da sottolineare, riflette la problematica di quella specifica azienda, non riferibile ad altre situazioni.
L’esempio riporta per semplicità solo gli obiettivi e gli indicatori più significativi (in realtà il loro elenco è più ampio).
Come si vede, numerosi indicatori sono non-monetari e vari di essi si concretizzano in percentuali.
Una delle cose più importanti da sottolineare è che, nell’ambito delle prospettive clienti-processi-risorse, taluni indicatori sono di gestione corrente, cioè hanno un impatto sui risultati economici già nel breve periodo (ad esempio: % di resi), ma altri sono rilevanti soprattutto perché segnalano oggi come si sta muovendo l’azienda verso risultati di lungo periodo (ad esempio: % acquisti da fornitori di classe “A”, % di competenze strategiche presenti nel personale, ecc.), cioè sono di gestione strategica.
In definitiva, quando si dice: “sistema bilanciato di indicatori contabili ed extra contabili”, ci si riferisce ad un set di indici che non si limita ad apprezzare la situazione attuale, ma getta uno sguardo a probabili risultati futuri (o, meglio, all’esistenza odierna di premesse favorevoli di tali risultati).
Fonte: https://farenumeri.it/misurazione-performance-aziendale/
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