Ci sono aziende che crescono, aziende che resistono, aziende che faticano ma vanno avanti.
E poi ci sono imprese che non crescono, non calano, non falliscono… ma non funzionano più.
E il punto è che nessuno se ne accorge subito.
In apparenza è tutto sotto controllo: le macchine girano, le commesse arrivano, i fornitori sono pagati.
Magari ci sono perfino nuovi clienti, un investimento in corso, qualche fiera in programma.
Eppure, qualcosa stride: i collaboratori sembrano più demotivati, i margini non si spiegano più, il magazzino cresce, i conti diventano più opachi, il titolare si ritrova a decidere “a naso”.
E ogni tanto compare quella domanda: “Ma dove stiamo andando esattamente?”.
Succede quando si perde direzione, quando le decisioni diventano reazioni, quando la strategia cede il posto all’operatività, quando si gestisce ma non si guida più.
La perdita di direzione è spesso invisibile… finché diventa irreversibile.
La perdita di competitività difatti non arriva in un giorno, è un processo silenzioso in un mercato che cambia, nei costi che salgono, nella concorrenza che si muove più velocemente.
Inizia quando si smette di guardare in avanti e si comincia solo a rincorrere il presente.
Quando ogni decisione diventa un’urgenza, quando non si costruisce più, ma si risponde.
Spesso parte da dettagli che sembrano insignificanti: una valutazione fatta “di corsa” sul prezzo di un nuovo prodotto, un magazzino gestito “come si è sempre fatto”, una promozione interna senza valutare le reali attitudini di leadership, un Controllo di Gestione lasciato a tabelle costruite anni fa.
In questo contesto l’imprenditore (o chi per lui) gestisce tutto, ma senza più scegliere davvero, i collaboratori “tirano avanti”, ma senza coinvolgimento, i numeri probabilmente non mostrano problemi evidenti, ma nemmeno prospettive, i clienti storici restano, ma non c’è vera crescita, le decisioni vengono prese “a naso”, con esperienza, ma senza dati aggiornati.
Il vero problema è quindi dentro l’impresa, nella sua struttura decisionale, nelle sue abitudini, nel modo in cui interpreta i numeri e le persone.
“Gestire” non basta, serve tornare a “dirigere”.
Molti imprenditori, negli anni, diventano bravissimi a gestire, a risolvere, tamponare, ottimizzare, ma non basta. Gestire è una cosa, dare direzione è un’altra.
La direzione è fatta di scelte strategiche, non solo operative. Significa definire chiaramente dove vogliamo andare, come vogliamo arrivarci e quali risorse ci servono. Significa capire quali clienti tenere e quali lasciare andare, stabilire quali prodotti sviluppare e quali tagliare, significa costruire una cultura aziendale e non solo una catena di compiti, significa rivedere i propri modelli di business e non solo magari le procedure ISO. E soprattutto significa prendere decisioni basate su strumenti chiari, non su sensazioni.
I fatti ci parlano e i numeri ci dicono, ma dobbiamo saperli ascoltare.
L’impresa è fatta anche di numeri e i numeri – se interpretati con metodo – parlano chiaro:
- Il rendimento della fabbrica può farci capire se l’impresa sta lavorando a costi accettabili per la nicchia di mercato che serviamo;
- Il margine reale di un prodotto può dirci se ha senso continuare a produrlo;
- Un’analisi dei costi per area può rivelare che una zona non è così “attiva” come pensiamo;
- Un’analisi della marginalità sul cliente, anche in considerazione della scontistica applicata, può indicarci se abbiamo attuato una coerente politica premiante sugli agenti di vendita;
- L’analisi di bilancio può segnalare manipolazioni o squilibri nascosti;
- Un errore nel pricing può annullare mesi di lavoro commerciale.
Troppo spesso si delega il controllo a fogli Excel confusi o a software che generano output ma non restituiscono senso.
Oppure ci si affida alla sola contabilità fiscale, che non nasce per aiutare a decidere, ma per adempiere.
La verità è che molte aziende sanno “quanto spendono”, ma non sanno “quanto costano davvero”.
La consulenza direzionale è (anche) un fatto culturale. In tante realtà, parlare di Controllo di Gestione, di analisi strategica, di ristrutturazione… viene percepito come qualcosa “da grandi aziende”, ma non è così. Anzi: sono proprio le PMI ad avere bisogno di strumenti chiari e flessibili, perché lavorano su equilibri sottili, in contesti spesso familiari, con processi costruiti più per abitudine che per progettazione.
Fare consulenza in questo contesto non significa portare teorie astratte, ma calarsi nella realtà concreta dell’impresa. Ascoltare, analizzare e proporre cambiamenti che siano possibili, comprensibili e sostenibili.
Il consulente non è solo esperto, ma deve essere alleato. Chi fa consulenza direzionale non può limitarsi a fare “controlli” o “analisi”, serve empatia, serve presenza. Serve il coraggio di dire la verità, anche quando è scomoda. Serve una figura che sappia entrare in azienda senza giudicare, ma anche senza accontentarsi e che non tema di fare le domande giuste, anche quando non c’è risposta immediata. Perché un’impresa che non si fa più domande, ha smesso di evolvere.
Fonte:
https://www.fiscoetasse.com/approfondimenti/16742-quando-limpresa-smette-di-funzionare-senza-accorgersene.html?_gl=1*1xbsh3i*_up*MQ..*_ga*MTU3ODUwNTg3OC4xNzUzMzY1MzYx*_ga_EE64P4Z01K*czE3NTMzNjUzNjEkbzEkZzAkdDE3NTMzNjUzNjEkajYwJGwwJGgw
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